Donne uccise dalla mafia, un elenco per non dimenticare – Ilaria Romeo

La prima fu Emanuela Sansone, 17 anni, uccisa il 27 dicembre del 1896, per ritorsione contro la mamma sospettata di aver denunciato dei mafiosi per fabbricazione di banconote false. L’ultima è Maria Concetta Cacciola, 31 anni, figlia del boss di Rosarno, ‘suicidata’ il 22 agosto del 2011 con una bottiglia di acido muriatico.

Un elenco per non dimenticare quello delle donne uccise dalle mafie, raccolto qualche anno fa in un dossier dell’associazione daSud dal titolo Sdisonorate.

Un elenco realizzato per sfatare la fantomatica legenda secondo cui  i clan, in virtù di un presunto codice d’onore, non uccidano le donne. Le uccidono eccome, per l’impegno politico, per vendetta, per ‘onore’, per errore.

“Abbiamo deciso di pubblicare questo dossier perché come accade nella società, anche le organizzazioni criminali costituiscono un sistema fortemente patriarcale e maschilista in cui la donna è quasi sempre subordinata all’uomo, anche se dagli anni ‘70 ad oggi è in aumento il numero di quelle indagate o imputate per 416 bis – affermava spiegando le ragioni del volume Cinzia Paolillo, curatrice insieme a Irene Cortese e Sara Di Bella della pubblicazione – Ma non solo, abbiamo voluto anche dare un contributo per colmare, attraverso le storie delle vittime, un vuoto di memoria in cui il sacrificio di tante donne è stato cancellato dall’oblio. […] Non è affatto vero, come alcuni ancora credono, che in virtù di un presunto codice d’onore, la mafia non uccida le donne. Lo ha fatto almeno per 150 volte fino ad oggi e spesso con modalità brutali perché mentre per far fuori un uomo spesso basta un colpo di pistola, sul corpo di una donna c’è un accanimento particolare”.

Come nel caso di Rossella Casini, una bellissima ragazza fiorentina che riesce a convincere il fidanzato di Palmi a collaborare con la giustizia, uccisa e fatta a pezzi; o come Annunziata Pesce, nipote del boss calabrese Giuseppe, che tradisce il marito con un carabiniere, uccisa il 20 marzo del 1981 dal cugino davanti al fratello più grande, come vuole il codice delle ‘ndrine.

Quello di Gelsomina Verde viene ricordato come uno dei più spietati delitti della camorra. Una vicenda raccontata anche da Roberto Saviano in Gomorra. Gelsomina ha solo 22 anni e fa l’operaia in una fabbrica di pelletteria. La sera del 21 novembre 2004 Mina, così viene chiamata dagli amici, viene attirata in una trappola proprio da un amico, Pietro Esposito. I suoi aguzzini avrebbero dovuto estorcerle delle informazioni. Probabilmente Mina non sa, forse non vuole tradire. Rimane inspiegabile l’efferatezza con la quale i killer si avventano sul suo corpo. Torturata per ore, forse stuprata, sarà uccisa con sei colpi di pistola ed il suo corpo sarà dato alle fiamme.

Le donne sono definite intoccabili, eppure spesso è proprio è la ragione per cui vengono prese di mira.

Come Anna Prestigiacomo uccisa il 26 giugno 1959 a 15 anni a Palermo da un bulletto di borgata che non tollera un amore rifiutato. Come Maria e Natalia Stillitano, Concetta Iaria, Maria Immacolata Macrì, Maria Teresa Ferraro uccise per vendetta, per logiche interne alle guerre dei clan.

Sono vittime di mafia anche Rita Cacicca, Rosa Fazzari, Nicolina Mazzocchio, Letizia Palumbo e Adriana Vassalla, vittime di quel deragliamento del Freccia del Sud partito da Palermo il 22 luglio del 1970 e probabilmente avvenuto a causa di un attentato stragista organizzato dalla ‘ndrangheta e da pezzi dell’eversione nera.

Si muore anche al posto di qualcun altro. Questo è il caso di Palma Scamardella, 35enne, madre di una bimba di 15 mesi, uccisa il 12 dicembre 1994 al posto dello zio, suo vicino di casa, sulle scale esterne della propria abitazione. Uccisa per sbaglio, come tanti anni prima era accaduto a Marina Spinelli, colpita a morte nell’agguato ad Antonio Guarino, segretario della Camera del lavoro di Burgio, il 17 marzo 1946. La sua unica colpa è stata passare dal posto sbagliato nel momento sbagliato.

“Il vero disonore – scrive Celeste Costantino nella prefazione di Sdisonorate – risiede in questo elenco di vittime che vi presentiamo, tutte in qualche modo innocenti. Lo sono quelle che hanno avuto la sfortuna di passare per caso da una strada in cui stava avvenendo una sparatoria e quelle che hanno tradito. Lo sono quelle che stavano semplicemente svolgendo il loro lavoro e quelle che hanno denunciato.

Alcune di loro – va detto – sono morte per mano di altre donne, e infatti non ci interessa con questo dossier fare l’apologia della figura femminile nelle terre di mafie. Anzi non sfugge a nessuna di noi come negli anni si sia rafforzato il ruolo delle donne all’interno della criminalità organizzata. Il nostro obiettivo in questo caso non è la descrizione di una parte del sistema, ma è per un verso la necessità di restituire dignità a delle donne dimenticate e per l’altro di svelare il falso mito del codice d’onore delle cosche”.

Nell’elenco delle 157 donne morte per colpa della mafia stilato dall’associazione daSud, c’è anche Ilaria Alpi, giornalista e fotoreporter italiana del TG3, assassinata a Mogadiscio insieme al suo cineoperatore Miran Hrovatin il 20 marzo 1994.

“L’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin lacera profondamente, a 25 anni di distanza, la coscienza civile del nostro Paese e suona drammatico monito del prezzo che si può pagare nel servire la causa della libertà di informazione. – diceva lo scorso anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – In questo triste anniversario rivolgo un pensiero di solidarietà alle famiglie dei due giornalisti, insigniti della Medaglia d’oro al Merito Civile della Repubblica italiana. L’impegno dei familiari contro le reticenze e i depistaggi, dopo l’immenso dolore subito, ha meritato e merita grande rispetto e rappresenta un dovere della Repubblica […] I nomi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin sono accanto a quelli dei tanti che, in Italia e nel mondo, sono divenuti bersaglio di vendette, vittime di criminali ritorsioni, di crudeli esecuzioni finalizzate a reprimere la autonomia delle persone, a intimidire chi cerca notizie scomode, a imbavagliare il diritto alla verità”.

Uomini e donne che, come ogni anno, il 21 marzo – primo giorno di primavera – ricordiamo, con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta.

Perché “fare memoria – diceva don Ciotti – è un dovere che sentiamo di dover rendere a quanti sono stati uccisi per mano delle mafie, un impegno verso i familiari delle vittime, verso la società tutta, ma prima ancora verso le nostre coscienze di cittadini, di laici e di cristiani, di uomini e donne che vivono il proprio tempo senza rassegnazione”.

Anche oggi, soprattutto oggi.

Ilaria Romeo, Archivio Storico Cgil

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