Quarantuno anni fa, l’Italia perdeva Aldo Moro e Peppino Impastato – Ilaria Romeo

Il 9 maggio del 1978, 41 anni fa, il Paese perdeva due figure simbolo della sua Storia.

Aldo Moro e Peppino Impastato, due vite, due morti che si sono intrecciate nello stesso giorno unendo il Nord e il Sud d’Italia, il centro e la periferia, la società politica e la società civile, il paese reale.

Quella mattina le Br fanno ritrovare il cadavere di Aldo Moro in via Caetani, all’interno di una Renault rossa. La tristemente nota immagine del ritrovamento del corpo (è probabilmente la fotografia che ha avuto il maggior numero di riproduzioni nel mondo) è di Rolando Fava, uno dei fotografi storici dell’Ansa. Racconterà lui stesso anni dopo: “Alle 13 ero in piazza Venezia, libero da impegni professionali, e mi accingevo a tornare a casa. C’era un traffico eccezionale. Mi informai su cosa stesse succedendo: era stata segnalata in via Caetani un’auto con una bomba […] La strada era stata subito chiusa da entrambi i lati dalle forze dell’ordine. In realtà, c’era già stata la rivendicazione delle Br e a Via Caetani erano arrivati Cossiga, Colombo, Gonella. Mi colpì subito il silenzio irreale. Ma io non avevo alcuna idea che potesse trattarsi di Moro, quando entrai in Palazzo Caetani (e ho potuto farlo solo passando da una entrata secondaria che conoscevo, sul retro) e ho chiesto al portiere il favore di affacciarmi da una finestrella un metro per un metro del suo appartamento, al piano rialzato. Da lì ho scattato le immagini degli artificieri che aprivano prima il cofano anteriore, poi il portabagagli. Solo allora qualcuno ha levato la coperta e ho visto Aldo Moro in quella posizione un po’ innaturale, credevo ancora che fosse drogato, che dormisse… ma è stato per poco, subito la strada si è riempita del dolore di tutti”.

I 55 giorni del sequestro terminano così, nel peggior modo possibile.

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Solo qualche ora prima, a centinaia di chilometri (1.497, per l’esattezza), perdeva la vita anche il giornalista siciliano Giuseppe Impastato.

Nato il 5 gennaio del 1948 da una famiglia mafiosa, durante gli anni del liceo, nel 1965, Giuseppe – per tutti Peppino – aderisce al Psiup e fonda il giornalino «L’idea socialista». Su questa pubblicazione racconta, tra l’altro, la marcia della protesta e della pace voluta da Danilo Dolci nel 1967.

Il giornale viene sequestrato dopo pochi numeri e Peppino, lasciato il Psiup, inizia a collaborare con i gruppi comunisti locali, occupandosi – tra l’altro – delle battaglie dei disoccupati, degli edili e soprattutto dei contadini, che si vedono privati dei loro terreni per favorire la realizzazione della terza pista dell’aeroporto di Palermo proprio a Cinisi.

Dopo aver dato vita al circolo «Musica e cultura», con il boom delle radio libere Peppino decide di fondarne una propria a Cinisi: «Radio Aut». Nel programma «Onda Pazza» prende in giro i capimafia e i politici locali: il suo bersaglio preferito è don Tano Badalamenti (soprannominato Tano Seduto), erede Del boss Cesare Manzella ed amico di suo padre Luigi.

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Nel 1978  decide di candidarsi alle elezioni comunali del suo paese nella lista di Democrazia proletaria. Assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio a soli 30 anni, risulterà comunque eletto il 14 maggio con 260 voti (anche la madre si reca a votare, violando il lutto che la vuole reclusa in casa).

Scegliendo come giorno l’anniversario dell’uccisione di Moro, con la Legge numero 56 del 2007, la giornata del 9 maggio è stata dedicata a «tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice».

“Questo Giorno – diceva lo scorso anno il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – vuol essere segno autentico di una comunità che ricorda gli eventi, lieti o dolorosi, che ne hanno attraversato la vita, che sa guardare al futuro proprio perché capace di collegarsi alle proprie radici e di condividere, attraverso momenti difficili e anche dolorosi, un’ideale di persona e di giustizia.

Il nostro Paese è stato insanguinato, dalla fine degli anni Sessanta, da aggressioni terroristiche di differente matrice, da strategie eversive messe in atto, talvolta, con la complicità di soggetti che tradivano il loro ruolo di appartenenti ad apparati dello Stato, da una violenza politica che traeva spinta da degenerazioni ideologiche, persino da contiguità e intrecci tra organizzazioni criminali e bande armate. Tante, troppe persone sono state assassinate barbaramente e vilmente. Tanti nostri concittadini sono stati colpiti, feriti, hanno portato e portano ancora i segni di quella insensata brutalità. Donne e uomini delle forze dell’ordine, professori, studenti, magistrati, giornalisti, uomini politici, dirigenti d’azienda, commercianti, operai, sindacalisti, militari, amministratori pubblici. Sono divenuti bersaglio perché individuati come simboli, oppure perché l’odio ha preso la forma del desiderio di annientamento, del messaggio trasversale di morte. La logica criminale – e non poteva essere altrimenti – alla fine si è impossessata anche del più ideologico dei gruppi terroristici.

Non dimenticare significa anche fare i conti con questa storia che ha attraversato la vita della Repubblica e ha messo a dura prova quella costruzione democratica che il popolo italiano è riuscito a erigere dopo la Liberazione e che la Costituzione ha reso un patrimonio di valori, non soltanto di norme giuridiche.

Abbiamo appreso che la democrazia non può dirsi mai conquistata una volta per tutte.

Abbiamo appreso che la democrazia vince quando non rinuncia a se stessa, ai principi di civiltà che la sostengono, alla libertà, al diritto e al rispetto dei diritti. Abbiamo appreso che ci sono momenti in cui l’unità nazionale deve prevalere sulle legittime differenze: è stata anzitutto l’unità del popolo italiano a sconfiggere la minaccia terroristica […]

Anche in questa stagione, la democrazia può e deve difendersi senza rinunciare ai propri valori, alla propria civiltà, all’idea di persona che fonda i diritti inviolabili. L’opera di prevenzione nel nostro Paese ha mostrato fin qui tutto il valore e la dedizione degli uomini e dei servizi che lavorano alla nostra comune sicurezza. Ma saremo ancora più forti se saremo capaci di far crescere la consapevolezza comune, e di assumerci la responsabilità, che come europei abbiamo, di favorire la pace e di costruire un equilibrio migliore nel pianeta”.

Ilaria Romeo, Archivio Storico Cgil

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