La differenza tra ironia e apologia del fascismo spiegata a La Russa – Ilaria Romeo

“Non stringete la mano a nessuno, il contagio è letale. Usate il saluto romano, antivirus e antimicrobi”, ed in fondo alla frase, tre faccine con la mascherina sulla bocca.

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È il tweet (poi rimosso) sul coronavirus di Ignazio La Russa, dal 28 marzo 2018 vicepresidente del Senato della Repubblica (già nell’aprile del 2019 Vittorio Feltri,  direttore di Libero, in un suo editoriale in prima pagina aveva esposto alcune motivazioni igieniche per riabilitare il saluto romano al posto della stretta di mano).

Non è una bravata, né una battuta divertente, perché fare il saluto romano, in Italia, è vietato, dalla legge.

L’apologia del fascismo, nell’ordinamento giuridico italiano, è un reato previsto dall’art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.

Recita l’articolo 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645, Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione (GU Serie Generale n.143 del 23-06-1952): “ Chiunque […] pubblicamente esalta  esponenti,  principii,  fatti o metodi del fascismo oppure le finalità antidemocratiche proprie del partito fascista è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a lire 500.000. La pena è aumentata se il fatto è commesso col mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione o di propaganda”.

Ora, se è vero che una  sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 1957 preciserà il significato dell’articolo 4 (per esserci una vera e propria apologia di fascismo non è sufficiente che ci sia «una difesa elogiativa» del vecchio regime, ma è necessaria «una esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista». Non è reato difendere il fascismo a parole, ma solo se viene fatto «in rapporto a quella riorganizzazione, che è vietata dalla XII disposizione») è altrettanto vero che – secondo i dati riportati dall’Anpi – i caduti nella Resistenza italiana (in combattimento o eliminati dopo essere finiti nelle mani dei nazifascisti) sono stati complessivamente circa 44700 (21200 saranno i mutilati o invalidi).

Tra partigiani e soldati italiani sono caduti combattendo almeno 40 mila uomini (altri 40 mila IMI, Internati militari italiani, sono morti nei lager nazisti).

Le donne partigiane combattenti sono state 35 mila. 4653 di loro furono arrestate e torturate, oltre 2750 vennero deportate in Germania, 2812 fucilate o impiccate. 1070 caddero in combattimento, 19 vennero, nel dopoguerra, decorate di Medaglia d’oro al valor militare.

Durante la Resistenza le vittime civili di rappresaglie nazifasciste furono oltre 10000. Altrettanti gli ebrei italiani deportati; dei 2000 di loro rastrellati nel ghetto di Roma e deportati in Germania se ne salvarono soltanto 11. Tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944 nella valle tra il Reno e il Setta (tra Marzabotto, Grinzana e Monzuno), i soldati tedeschi massacrarono 7 partigiani e 771 civili e uccisero in quell’area 1830 persone.

Indipendentemente dalle leggi in vigore, io direi che sul saluto romano sarebbe meglio non scherzare.

“Alfonso ha messo  sui miei social un post ironico ma forse sul virus potrebbe suonare fuori luogo e gli ho detto di toglierlo”, pare sia stato il commento del vice presidente del Senato successivo alla rimozione del post.

ironia

Il saluto romano, mi permetterei di suggerire, suona fuori luogo su tutto, signor vice presidente, non solo sul virus.

Ilaria Romeo, Archivio Storico Cgil

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